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Via Villafranca, 72, 37068, Isolalta di Vigasio (VR)

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Sguardi, letture e interpretazioni sull’opera di Sergio Capellini

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“…Al di là di ogni umano cedimento o distrazione egli è condannato a vedere e realizzarsi plasticamente: ciò fa di lui uno scultore e lo differenzia in partenza dalla pletora di pupazzari, differenza che si rivela inequivocabilmente per chi sa leggere un’opera di scultura…”

 

Angelo Canevari

“…Alla radice della sua visione c’è un dato fondamentale ed è il valore dell’uomo, dei suoi sentimenti e delle sue inestinguibili passioni, che si rispecchiano nel mito della bellezza: un mito antico che non finisce però di rinnovare se stesso nel succedersi dei secoli e di riproporsi quale intramontabile suggestione. Naturalmente anche la mitologia della bellezza è mutata, essendo sostanzialmente parte dell’integrità dell’uomo. Spirituale e carnale insieme, essa supera i tempi, ma si dichiara modernamente con diversa fisionomia.Capellini cerca dentro di sé il contatto con le forze che stanno all’origine stessa dell’ispirazione, che ne sono la radice primaria.Premessa che risiede nella coscienza generale ch’egli ha della nostra sorte sulla terra; per lui tutto ciò che minaccia la nostra possibile verità è soltanto la separazione del nostro valore di uomini.È ciò che contrasta la nostra condizione di vita a offenderne la dignità e la misura, manifestandoci nei nostri confronti come una potenza perversa e nemica.… Sono parecchie le opere che ha dedicato a questo tema e sono di rilievo, specie quelle che rappresentano gli episodi delle fucilazioni.Anche il loro titolo è significativo “E io non morirò”, un titolo non retorico, ma fedele all’idea che una tale morte accresce il coraggio di cui gli uomini hanno bisogno per essere liberi.La bellezza e i drammi della storia: sono questi i termini entro i quali si muove Capellini. Ma ciò accade sempre nell’ambito di una proprietà plastica di cui egli custodisce gelosamente il segreto, senza mai spostare il proprio discorso fuori di una tale preoccupazione. Scultore legato al proprio mestiere, trovando in esso le necessarie risorse…”

 

Mario de Micheli

“…in Capellini si può ravvisare un prosecutore della scultura italiana contemporanea che si allaccia al discorso di Fazzini, Manzù, Greco, Marini… Dunque al più alto discorso figurativo della scultura italiana del secondo Novecento, per la quale l’Italia occupa un posto privilegiato nel mondo.In lui il “nulla die sine linea”, si può tradurre in: nessun giorno senza potere cercare nella materia, creta, marmo o bronzo che sia, con la quale entrare in contatto con il mondo, sentirsi in sintonia con la vita nel suo fluire. Il movimento, dunque. E Capellini lo coglie fino all’estremo del rischio, sfidando le leggi della statica, in un’accensione fantastica, in un’orchestrazione che tende ormai, superato ogni freno naturalistico alla più libera sintesi, al solo impatto quasi gestuale con la materia, che esige talvolta la deformazione del dato antropomorfo in una nuova felicità inventiva…”

 

Luciano Luisi

“…Capellini sfugge ai condizionamenti di una tecnica scolastica formalmente acquisita e assurge a una libertà di vocazione che ha per fondamento il rigore di uno stile, il suggello di una personalità. L’artista possiede in se stesso la forza di un’espressione che nei ritmi, nelle linee, negli aspetti di una tematica umana riesce a trovare i punti più alti dell’accordo interiore…”

 

Rodolfo Arata

“…La scultura di Capellini diventa un atto di liberazione dalla morte. La fissazione di un certo momento di crisi esistenziale totale… La materia o sostanza di un corpo e l’attimo in cui tutto si fa sfuggente, quasi sorriso arcano di una divinità misteriosa che l’istinto panico doma a superiore potenza; il presentimento oltre l’attimo della forma sublime, il portento, un aspetto sottratto al fluire delle sensazioni…”

 

Elio Mercuri

“…Le donne, gli uomini, i cavalli, colti nell’istante con grande sensibilità e senso plastico. Il sentimento che prevale è la drammaticità. Icaro, Caino si ammirano per il loro senso compositivo e la loro forza espressiva. Il Cristo crocifisso è l’espressione di un’umanità morente…”

 

dal quotidiano 

“SANKEI TOKYO YOMIRI SHINBUN”